Sebbene il termine “ipnosi” sia stato introdotto solo nel XIX secolo da James Braid, il mito di misteriosi stati modificati di coscienza si perde nella notte dei tempi. Una rivoluzione concettuale avviene con Milton Erickson, che ridisegna radicalmente il concetto di ipnosi clinica. Attraverso indagini sperimentali e analisi di casi clinici, egli ha evidenziato la dimensione scientifica e terapeutica della ipnosi. Partendo dai cardini epistemologici del modello ericksoniano, l’ipnosi sembra mostrare potenzialità euristiche in svariati campi fra i quali quelli delle neuroscienze e della semiotica, oltre che nel contesto della pratica clinica e della psicopatologia.
Le caratteristiche dell'approccio ericksoniano
L’opera magistrale di Milton H. Erickson, divenuta di dominio pubblico negli anni Cinquanta, ha avuto il merito di rivoluzionare i criteri di analisi e valutazione dell’esperienza ipnotica, contribuendo in modo sostanziale a ridisegnarne il profilo, rielaborandone la prospettiva come tecnica, come condizione sindromica e come forma autonoma di psicoterapia. Erickson, coerentemente con la sua visione della differenza come risorsa, non si occupò di formalizzare una teoria strutturata dell`ipnosi, ma si dedicò ad elaborare ed analizzare migliaia di casi clinici e ad effettuare un’immensa mole di sperimentazioni di laboratorio. Ciò ha indotto, nel corso degli anni, molti suoi allievi a concentrarsi sullo studio delle tecniche ipnotiche di natura linguistica e non verbale che egli utilizzava nel corso dei suoi interventi dimostrativi e delle psicoterapie, sebbene l’essenza del suo contributo non inerisca tanto le procedure operative ovvero le modalità di costruzione del cosiddetto “linguaggio ipnotico” verbale e non verbale – che pure costituiscono un capitolo affascinante della sua opera – quanto piuttosto i cardini filosofici ed epistemologici alla base della cosiddetta Nuova Ipnosi, i quali hanno aperto la strada al riconoscimento della Ipnosi come forma autonoma di psicoterapia.
L'APPROCCIO NATURALISTICO
In primo luogo, Erickson offre una rilettura in termini naturalistici dell’ipnosi. L’approccio naturalistico pone enfasi, non tanto sugli elementi tecnici dell’induzione della trance, ne sulla direttività, il carisma o l’autorità del terapeuta o sulla alterazione degli stati di coscienza, quanto sull’idea che la trance costituisca una condizione fisiologica naturale, che può essere elicitata attraverso specifiche pratiche induttive, ma che si manifesta anche in modo del tutto spontaneo durante l’arco della giornata. Tale condizione rappresenta, dunque, una risorsa in grado di costituire un ponte fra la terra del sintomo e la terra della soluzione, attraverso la ratifica della qualità ipnotica del percorso terapeutico e della discontinuità trance-veglia, che nel contesto clinico implicano il processo di cambiamento cui il paziente aspira. Da questa premessa, che indica il cardine della sua visione del lavoro clinico, scaturiscono una serie di implicazioni la cui portata consente di risalire all’essenza del Milton Erickson Model.
L'UTILIZZAZIONE
Se, infatti, la materia originaria dell’approccio ericksoniano è il naturalismo, la forma di quell’approccio e il principio di utilizzazione. L’utilizzazione costituisce un atteggiamento complesso di reframing della posizione terapeutica, poiché prevede che ciascun elemento, – ambientale, comportamentale, relazionale, linguistico e finanche sintomatico, possa essere legittimamente utilizzato per ottenere risposte di cambiamento in termini terapeutici. L’essenza dell’utilizzazione risulta tanto pervasiva e radicale da depotenziare il concetto stesso di resistenza. Erickson non legge la resistenza come un ostacolo messo in atto dal paziente ed in grado di frapporsi fra la condizione di sofferenza ed il cambiamento, bloccando il percorso terapeutico, ma come segno, indicatore, rimando del contributo che il paziente stesso offre alla terapia. D’altra parte, il riconoscimento della correlazione fra il problema e la resistenza diventa un ulteriore elemento diagnostico che il terapeuta può utilizzare nel complesso scambio collaborativo con il paziente. Ciò richiede da parte del terapeuta un’attenta osservazione ed il riconoscimento dei dettagli (minimal cues) che compongono lo stile comunicativo, percettivo, relazionale, emotivo del paziente e del suo sistema di appartenenza. L’attenzione rivolta ai segnali disegna, inoltre, in modo nuovo, anche la verificabilita dei cambiamenti che avvengono – indotti, ispirati o spontanei che siano – durante la terapia.
IL TAILORING
Come è facile capire, questo approccio determina un’ampia fluidità del setting ed una certa flessibilità del lavoro clinico, poichè ogni intervento sarà sempre disegnato e calibrato su misura sul paziente. Si parla, in questo caso, di tailoring, ovvero della costruzione di un percorso di significazione e risintesi dei processi sintomatici del tutto specifico per ogni situazione. Erickson sottolinea spesso la sua fiducia nella capacità di ciascuno di accedere attraverso la trance a quell’ampio deposito di esperienze, apprendimenti ed atteggiamenti, costituitisi nel corso della vita e che rappresentano la fonte preziosa delle risorse individuali cui attingere per ottenere un cambiamento terapeutico genuino e duraturo.
IL RAPPORT
L’approccio ericksoniano può essere letto anche attraverso la semiologia relazionale, la quale rimanda, a sua volta, al rapport, ovvero a quella speciale relazione sincronica e focalizzata fra terapeuta e paziente che si costituisce come supporto imprescindibile della trance. La mitologia aneddotica degli interventi paradossali e dello stile analogico della comunicazione a livelli multipli usati da Erickson ha certamente contribuito a divulgarne la fama anche dopo la sua morte, avvenuta nel 1980, ma la qualità della sua opera passa indiscutibilmente attraverso il riconoscimento di quegli elementi innovativi e sostanziali del suo contributo che fanno capo all’idea della differenza come risorsa. Dice Erickson: “Ogni paziente che si rivolge a voi rappresenta una personalità diversa, una mentalità diversa, un`esperienza diversa (..) nell’affrontare le situazioni cruciali della terapia, dovete esprimere voi stessi adeguatamente, non come imitazioni” (Haley, 1978). L’aspetto tecnico della terapia – come l’intera opera di Milton H. Erickson ha mostrato – non riguarda semplicemente questioni pratiche e procedurali; non è solamente uno strumento, ma un fondamento epistemologico, che fa capo alle analisi del pensiero occidentale sorte a partire dal pensiero filosofico dell’inizio del secolo scorso. In Erickson, le tecniche hanno a che fare con la possibilità di amplificare e dilatare le risorse del paziente. Questo modo di vedere si declina in termini di condivisione di percorsi nella relazione terapeutica. Per questa ragione, possiamo dite con Zeig (1990) che la direzione verso un obiettivo è la pietra angolare dell’approccio ericksoniano.